Artista, MIA Fair 2022 @ Galleria Federica Ghizzoni
Romana Zambon, RIFLESSI_30, 2022
Stampa: a getto d’inchiostro, Matt Plus 240gr, Dibond, Diasec 3 mm
Inkjet printing,Matt Plus 240gr, Dibond, Diasec 3 mm
Dimensioni / Size: cm 120x90
Edizione / Edition: 1/5
Prezzo / Price: 3500
Quando la fotografia ha fatto irruzione con la sua invenzione immaginifica nel mondo, si era nel pieno di un clima entusiasmante dove si fondevano le ormai consolidate convinzioni del Positivismo e i primi vagiti della Belle Époque. Che eccitazione, dunque, per quella nuova scoperta arrivata subito dopo l’illuminazione elettrica e quasi contemporaneamente all’automobile che allargava i confini della percezione e regalava impressionanti capacità di riproduzione della vita. Si aveva la sensazione di potersi portare a casa frammenti di città dotati di un fino ad allora inedito realismo che raramente la pittura e il disegno erano in grado di trasmettere. Anni dopo quell’entusiasmo ha cominciato ad apparire ingenuo e culturalmente ingombrante e i più arditi fra i fotografi hanno cominciato a guardare oltre, alla ricerca di espressività diverse nate dalle sperimentazioni con cui le avanguardie storiche avevano spazzato via presente e passato per proiettarsi nel futuro.
Romana Zambon sa benissimo di ripercorrere con le sue distorsioni un sentiero già tracciato anche da grandi autori (André Kertész fra i fotografi, Salvador Dalì fra i pittori, tanto per fare due soli dei tanti possibili nomi) ma non per questo rinuncia a indagare sullo spiazzamento visivo che il suo obiettivo cerca con gioiosa leggerezza.
L’escamotage consiste nel cercare di affrontare un tema complesso e ben storicizzato come quello del paesaggio urbano non in modo diretto ma attraverso il rimbalzo visivo costituito da una superficie che non solo lo riflette ma, essendo irregolare, lo modifica distorcendolo. Si tratta di una deformazione che propone a chi la osserva una grande serie di variazioni: basta spostarsi anche di poco per assistere a un vero e proprio spettacolo immaginifico. Chi lo vede coglie immediatamente l’aspetto cromatico di questo blu intenso e metallico macchiato da tracce di rosso, giallo, ocra. Ma basta meglio osservare, per riconoscere che nel colore dominate (in realtà è il riflesso del cielo estivo) nuotano figure di palazzi, facciate di chiese, frammenti di tetti, porzioni di piazze. Per gli appassionati di tecnica abituati a riconoscerli, qui si trovano concentrati tutti i difetti che la tecnologia ottica ha combattuto per migliorare la resa delle lenti: ci sono le linee cadenti e le aberrazioni sferiche, le distorsioni a barilotto e quelle a cuscinetto. Ma, come spesso succede nelle ricerche, qui le imperfezioni sono finalizzate a uno scopo preciso e anche noi, osservando questi risultati, dimentichiamo la pulizia formale cara alla fotografia di architettura e ci ritroviamo immersi in un’atmosfera liquida e fiabesca dove tutto è possibile e ogni immagine si anima di una fantasiosa vitalità.
When photography broke into the world with its imaginative invention, it was in the midst of an exciting atmosphere where the well-established convictions of Positivism and the first bursts of the Belle Époque merged. What an excitement, therefore, for that new discovery which arrived immediately after the electric lighting and almost simultaneously with the car invention, that widened the boundaries of perception and gave impressive reproductive abilities of life. It gave the feeling of being able to take home fragments of cities with a hitherto unpublished realism that painting and drawing were rarely able to transmit. Years later that enthusiasm began to appear naive and culturally cumbersome and the most daring of photographers began to look further, in search of different expressions born from the experiments with which the historical avant- gardes had swept away present and past to project themselves into the future. Romana Zambon is completely aware that with her distortions she retraces a path already undertaken also by great authors (André Kertész among photographers, Salvador Dalì among painters, to name just two of the many possible names), but this does not mean that she give up investigating the visual displacement that her lens seeks with joyful lightness.
The trick consists in trying to tackle a complex and well-historicized theme such as that of the urban landscape not directly but through the visual rebound consisting of a surface that not only reflects it but, being irregular, modifies it by distorting it. It is a deformation that offers those who observe it a great series of variations: it is enough to move even a little to attend a real imaginative show. Those who see it immediately catch the chromatic aspect of this intense and metallic blue stained by traces of red, yellow, ocher. But it is enough to observe a bit better, to recognize that in the dominating color (it is actually the reflection of the summer sky) figures of buildings, facades of churches, fragments of roofs, portions of squares swim. For technical enthusiasts accustomed to recognize them, all the defects that optical technology has fought in order to improve the performance of the lenses are concentrated here: there are falling lines and spherical aberrations, barrel distortions and bearing distortions. But, as often happens in research, imperfections here are aimed at a specific purpose and we too, observing these results, forget the formal cleanliness dear to architectural photography and we find ourselves immersed in a liquid and fairy atmosphere where everything is possible and every image comes alive with an imaginative vitality.
Romana Zambon
Italia @ Italia
http://romanazambon.it
Romana Zambon appartiene a quella tipologia di fotografi che osservano curiosi il mondo e proprio per questo non intendono soffermarsi su un solo tema o su un unico soggetto. Per questa ragione non è facile inquadrare l’autrice in una precisa categoria e se questo può apparire un limite a chi pensa che occorre specializzarsi in un’unica direzione si rivela, al contrario, un pregio per quanti sanno apprezzare le doti di creatività grazie alle quali la fotografa ha elaborando un preciso percorso estetico.
Percorso iniziato con un’indagine sul paesaggio compiuta durante i molti viaggi che l’hanno portata a confrontarsi con le realtà più diverse in molte parti del mondo. Ciò che poteva incanalarsi in un ambito in qualche modo prevedibile – quello cioè del reportage di viaggio – non sembrava essere nelle sue corde: al ritmo narrativo e alla sintesi del racconto ha, infatti, da subito preferito l’indagine minuziosa dei particolari, il gusto per i contrati cromatici che si ritrovano nei paesaggi come nei volti delle persone, l’ attenzione per le geometrie insolite architettoniche e non. E’ in questa iniziale fase della sua ricerca che Romana Zambon ha approfondito indispensabili conoscenze tecniche ed estetiche raffinando il suo senso della composizione senza però mai abbandonare né il suo approccio immediato ai soggetti né quel gusto della spettacolarità che poi sarebbe emerso come caratteristica centrale del suo stile.
Quest’ultimo aspetto contraddistingue i lavori seguenti che pure si evolvono in direzioni opposte: da una parte l’indagine sulle vecchie motociclette riprese come fossero sculture che si stagliano sullo sfondo nero esibendo cromatismi e ruggini come elementi di una evidente matericità, dall’altra la ricerca sui fiori dominati da una suadente plasticità e da un gusto per il dettaglio che sconfina nell’astrazione.
Un ulteriore passaggio ha portato la fotografa a fondere dialetticamente i due precedenti esiti per giungere, in “Reflections”, a un lavoro sullo spazio urbano non più visto in modo diretto ma osservato attraverso le deformazioni date dal suo riflettersi sulla superficie metallica di una scultura come a ribadire che ogni astrazione altro non è che una sottolineatura dello sguardo soggettivo di chi guarda e interpreta la realtà. E’ un motivo che ritorna in un’ulteriore ricerca ambientata nelle cave di marmo trasformate in un imponente e algido ambiente teatrale dove la spettacolarità ora si coniuga con l’eco di un dichiarato surrealismo.
E’ di nuovo sullo spazio che Romana Zambon continua a lavorare, ma negli ultimi tempi spostando l’attenzione dal grande al piccolo, dal paesaggio allo still life e lo fa conservando ancora una volta le caratteristiche di uno stile ormai acquisito. Ora di fronte al suo obiettivo compone in mille variazioni una serie di bottiglie dalle bellissime forme giocando nella stessa misura con i colori, le ombre, le trasparenze, le luci, i volumi, gli accostamenti imprevedibili, per giungere a fotografie che si caratterizzano per la loro originalità e che ci aiutano a guardare il mondo con la stessa curiosità con lui lo osserva l’autrice

COLLECTION MIA 2022
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Romana Zambon, RIFLESSI_30, 2022
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